Il progetto LA COSTANTE RESISTENZIALE – A guide tour of Sardinian-archaic, weird and marvelous stone sculpture (and architecture) di Montecristo project possiede una genesi densa e stratificata. Tale progetto si realizza in un viaggio alla ricerca dei “reperti scultorei” (di seguito si cercherà di coglierne più a fondo la natura) disseminati sull’isola, scaturito da una riflessione critica di non trascurabile valore.
In filigrana all’intervento si possono intravedere la propensione “interattiva” e “archivistica” propria degli artisti-curatori – scandagliare la regione battendone con rigore ogni lembo, dalle aree rurali ai piccoli centri abitati, raccogliendo materiale e testimoniandolo attraverso la fotografia – e la volontà di far confluire tale operazione in un contesto di più ampio respiro, atto a valutare confronti, interpolazioni, sovrapposizioni iconografiche e slittamenti di significato. La composizione di un atlante (Atlas) finalizzato allo studio dello sviluppo storico-artistico, pare la diretta conseguenza del resoconto immaginifico al quale il titolo fa riferimento (a guide-tour).
Alcuni interrogativi andrebbero dunque sollevati: cosa intendere con il sintagma “Costante resistenziale”? In quale maniera Montecristo Project si rapporta criticamente con tale condizione? L’analisi avanzata dal duo curatoriale procede parallelamente su due fronti, tracciando un disegno complessivo che oscilla tra antichità e contemporaneità, tra dimensione macroscopica e microscopica, tra rotte europeistiche di primo Novecento e tendenze endogene senza tempo. Lo sviluppo policentrico dell’arte italiana – magistralmente analizzato nel saggio Centro e periferia di Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg del 1979 – presuppone già in nuce l’esistenza di molteplici focolai, alcuni definibili “centrali”, in cui gli stimoli artistici fermentano e trovano attuazione per poi propagarsi lungo la penisola, altri invece “periferici”, ovvero parti di un tessuto complesso in cui le innovazioni approdano con tempi ed intensità eterogenee. La ricchezza insita in tale sistema – dal momento che di una ricchezza rara effettivamente si tratta – suscita considerazioni di vario genere, soprattutto in relazione ai temi dell’assorbimento e della rigenerazione di forme, stilemi e iconografie.
Di qui la riflessione su ciò che costituisce, rispetto ai processi culturali propri di una certa realtà, il nocciolo più intimo, identitario ed “incorruttibile”, sempre ammesso che un’entità con queste caratteristiche possa oggi esistere.
Innanzitutto, è da ricordare che il concetto Costante Resistenziale nasce in un contesto specificamente archeologico, essendo stato elaborato dall’archeologo sardo Giovanni Lilliu nell’omonima pubblicazione La Costante resistenziale sarda, edita nel 2002. Tale condizione veniva rintracciata da Lilliu in un periodo peculiare della storia dell’isola, quello dell’arte nuragica, forma d’arte pre-classica ascrivibile all’Età del Bronzo Medio (secondo millennio a.C circa). Lì, in quel coacervo di forme così distanti nel tempo eppur eloquenti e vive per noi moderni, si sarebbe annidato il seme originario dell’identità artistica sarda, la vis exstendi di una civiltà creativa pronta a resistere a colonizzazioni e a seduzioni di vario genere.
Esiste tuttavia un ulteriore grado di analisi promosso dal Museo MAN di Nuoro nel progetto espositivo La Costante resistenziale (avviato dal 2015 in tre “capitoli”), volto a rintracciare i segni di tale Costante nell’arte del Dopoguerra, e in particolare modo nelle esperienze maturate sull’isola tra il 1957 e il 2017.
Il cinquantennio preso in esame pone in evidenza non solo alcuni dei momenti di maggior dinamismo e sperimentazione della storia dell’arte nazionale e non – si pensi alla riflessione critica che ha preso piede tra Europa e America tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta – ma permette di avanzare alcune considerazioni sul tema della persistenza. La posizione di Montecristo Project rispetto agli assunti dell’esposizioni appare chiara e, per certi versi, drastica: guardando alla produzione di artisti sardi appartenenti a diverse generazioni – tra i nomi proposti da Montecristo Project, quelli di Gaetano Brundu, Francesco Ciusa, Giuseppe Biasi, Stanis Dessay e molti altri – ciò che balza immediatamente agli occhi non è tanto, anzi, forse non è per nulla, il coefficiente di originalità e originarietà riferito all’arte sarda, quanto la tendenza, perpetrata con assoluta tenacia dagli stessi artisti, di stare al passo con le innovazioni creative promosse al di fuori della regione. Come talvolta accade per realtà “autonome” sebbene vivaci, ricettive e sature di storia, un gruppo ristretto di artisti ha iniziato ad interagire con tali linguaggi d’avanguardia, dando vita a creazioni di segno ancora differente. Una componente propriamente resistenziale dunque, non pare essere ravvisabile nel contesto dell’arte “contemporanea”, in cui sin dagli anni Cinquanta esiste piuttosto un desiderio di ibridazione, di apertura e di trasfigurazione del proprio background culturale da parte di alcuni. Conseguenza di questo atteggiamento “globalizzante”, come acutamente segnalato da Montecristo Project, è la naturale propensione all’eclettismo. Nell’analisi operata dal duo curatoriale, uno snodo critico si rivela particolarmente efficace: il ricondurre il dibattito all’interno di un prospetto storicizzato e per di più archeologico, ipotizzando un curioso parallelismo tra Arte romana e Arte contemporanea sarda.
Dove ravvisare dunque i punti di contatto tra tali realtà? In primis, si direbbe, nella genesi mediterranea di entrambe. In questo senso possiede un valore assolutamente centrale la questione storico-geografica, che restituisce l’immagine di un Mediterraneo culla delle civiltà, mare “aperto”, mare nostrum, ed entità indefinibile per eccellenza definita da Massimo Cacciari ( L’Arcipelago, 1997) “Polyphloisbos, multirisonante”.
In secondo luogo, un ulteriore punto di contatto può essere individuato nei simili processi di appropriazione e sviluppo dei linguaggi artistici preesistenti. L’Arte romana si è nutrita, in parte e in maniera oggi ridimensionata rispetto al passato, di quanto la civiltà greca aveva prodotto. Pur esistendo delle stringenti affinità iconografiche e pur essendo l’arte romana giunta a livelli tecnici di straordinario rilievo, la stessa ha altresì posseduto una caratterizzazione simbolico-politica estranea al panorama greco. L’eclettismo dell’Arte romana, esito in una continua interazione con immagini, morfemi, “tropi” e retaggi iconologici “esterni” – rileva Montecristo Project – non è dissimile dall’eclettismo dirompente riscontrabile nelle ricerche d’arte contemporanea sarda.
E anche nel contesto del mondo romano è possibile intravedere una componente Resistenziale ed identitaria, in quella corrente definita da Ranuccio Bianchi Bandinelli nei termini di Arte plebea. Manifestatasi a seguito della crisi politica, economica e sociale del V secolo d.C essa si distingue per il naturalismo esasperato, l’assenza di grazia e una potenza espressionistica a tratti grottesca.
In conclusione, ciò che pare qualificare in maniera stringente la Costante Resistenziale e il viaggio compiuto da Montecristo Project tra i reperti dell’isola non è tanto la natura artistica dei soggetti in sè, quanto la naturale propensione dell’uomo a produrre forme che oltrepassano i confini della storia. Da ciò deriva un’arte spesso antinaturalistica, talvolta paratattica o volumetricamente semplificata, spesso decorativa e ornamentale, talvolta apotropaica e rituale. I luoghi in cui tali reperti si potranno rinvenire saranno i più disparati: nei cortili, nelle piazza, nelle aree pubbliche come in quelle domenistiche o ancora dispersi nell’ambiente naturale. Il giudizio di artisticità (il categorizzare un oggetto quale opera d’arte o meno) è spesso imposto da terzi. La creazione è endogena e, consumandosi dall’interno verso l’esterno, genera immagini dotate di un coefficiente di purezza, di resistenza e d’intensità umane, antiche e in qualche maniera addirittura sovrastoriche. Di qui il concetto warburghiano di Nachleben der Antike (Sopravvivenza dell’Antico) e il conseguente avvio dell’Atlante Mnemosyne, attraverso cui lo studioso tedesco Aby Warburg sviluppava un intreccio iconografico di immagini stratificatesi nel bacino del Mediterraneo dall’antichità ai giorni nostri.
Testo: Valentina Bartalesi
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LA COSTANTE RESISTENZIALE – Chapter 1
LA COSTANTE RESISTENZIALE – A guide tour of Sardinian-archaic, weird and marvelous stone sculpture (and architecture) by Montecristo project represents a complex and stratified project. It seems a voyage or a poetic “Grand Tour” in which the curatorial duo discovers sculptural evidence scattered around the Island. The project itself is based on a strong and fertile critic substratum. Generally, we can recognize two main characteristics of its curatorial approach: an archivist tendency – searching traces along the Sardinian landscape – and the desire to create a sort of visual “Atlas” made by those “daily” and not necessarily artistic images. Directly connected to the artistic theme there is the iconographic one: each form and sculpture could be the object of interpolations, comparisons and semantic slippings.
What does the expression Costante Resistenziale mean? In this scenario, what constitutes the most intimate, identifier, an incorruptible core of a peculiar reality, such as the Sardinian one? That particular condition was related to a precise and defined period of the artistic production of the Island, namely Nuragic art, a pre-classical form of art dated to the Middle Bronze period (almost second-millennium a.C). There, in that jumble of eternal and endogenous forms significant for the moderns, the original seed of Sardinian art – in the opinion of Lilliu – could be found. The analysis made by Montecristo Project oscillates from the Classic art to the Contemporary period, from a microscopic dimension to a macroscopic one, from the European routes of the XX° century to tendencies which are eternal and endogenous. The complex development of Italian art – masterfully analyzed in the essay Centro e periferia by Enrico Castelnuovo and Carlo Ginzburg (edited in 1979) – underlines the existence of several breeding grounds, a few more centralized than others, where the artistic research could easily bloom and prosper. Moreover, in this heterogeneous system different realities exist, definable as “peripheral”, in which these creative “enzymes” arrive late and are translated in peculiar and autochthonous appearances. The intimate prosperity of those interactions shed a light on the themes such as the generation and regeneration of forms, images, symbols, index.
Another path of reflection is described by the MAN Museum of Nuoro in the three chapters exhibition’s La Costante Resistenziale, which proposed an analysis of Contemporary Sardinian art from 1957 to 2017. That period represents one of the most dynamic and innovative moments in the history of the Island in which several artists – such as Gaetano Brundu, Francesco Ciusa, Giuseppe Biasi, Stanis Dessay, and others -have been strongly influenced by the poetic of the Italian and European Avanguardia. This observation – the international root of the works produced in the region – constitute the main topic of Montecristo Project’s reflection: the curatorial duo, in fact, definitively sustains the absence of a “resistenziale” component in Contemporary Sardinian art in favor of an international and global one. Since the Fifties the research of those artists has been originated from a desire of “upgrade” – every modernist image has been here rethought and reinterpreted – according to the process of globalization that is still working nowadays. Differently, Montecristo Project proposes a comparison that efficaciously identifies the “eclectic” genesis of Contemporary Sardinian art with the polyhedric soul of the classical Roman one. Of course, this connection could appear, at first, unexpected; but, if we read this proposal in the context of the Mediterranean sea and scenario – defined by Massimo as “Polyphloisbos, multirisonante” (L’Arcipelago, 1997) – we could glimpse a prolific ground of thought.
In fact, also the Roman art has depended from the Greek influences (the same relationship existing between Sardinian artist and Modernism/Avanguardia) since its birth, even if nowadays this relation of addiction it’s been deeply reexamined. The Greek images, iconographies and symbols were absorbed and acquired by the Romans. They reached an extraordinary level of beauty and perfection but, at the same time, they mixed aesthetical concepts with others connected to the idea of power and politic in a binomial far from Greek aesthetic.
At last, the so-called Arte Plebea – an expression coined by Ranuccio Bianchi Bandinelli in order to describe a period of Roman art (arisen around the V° century) characterized by simplified forms, expressionist figures, and an anti-naturalistic way of representation – could be considered autochthonous and originating for Roman Antiquity.
Not casually, the representation of isolated figure sculpted and “sketched” with solid, simple and massive volumes, that could have an ornamental, apotropaic, religious or artistic nature returns, as we saw, in Sardinian art and “monuments” can be considered a proof of the Costante Resistenziale.
At last, can we suppose a persistence in time and space of those eternal, ancestral and archaic images? Probably we can. In the explanation of this concept the Aby Warburg’s Syntagma of “Nachleben der Antike” , or rather the tendency of some pictures, icons, and index of “keep happening” in different periods, from the Antiquity to nowadays may help us. As Warburg composed an Atlas (from 1926) made by a series of pictures taken from the Mediterranean pond in heterogeneous periods, Montecristo Project realizes a special guide-tour (an Atlas?) where the vis existendi of the native Sardinian aesthetic could be expressed.